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A cura di Giancarlo Perlo

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13/8/2006 Asunción: Autobus

Gli autobus di Asunción sono vecchi camion sui quali è stata montata una carrozzeria da autobus. Coloratissimi, sferraglianti, arrugginiti, impestano l’aria con i loro scarichi e vanno avanti per qualche miracolo o misericordia divina.

Ne prendo uno a caso, il 18, sperando che mi porti in qualche luogo un po’ frequentato. Accanto al guidatore ci sono luci, orsacchiotti, cuoricini vari e persino una spada di plastica. E l’immancabile termos, con bicchiere e cannuccia, pieno di tereré, il mate ghiacciato e amarissimo, indispensabile per sopravvivere alla calura tropicale.

Attraversiamo lunghe avenidas praticamente deserte: ville eleganti, grosse auto dai vetri oscurati, giardini nascosti dietro i muri di cinta. La situazione si anima un po’ davanti all’ospedale, assediato da un variopinto e affollato mercatino di bancarelle, che vendono ai pazienti e ai parenti in visita. All’ingresso dell’orto botanico una vecchia locomotiva a vapore sta immobile e paziente, a farsi assalire da frotte di bambini urlanti.

Raggiungiamo quartieri più popolari. Passano automobili vecchissime, avvolte in nuvole nere di smog. In mezzo alle case, mucche, galline e persino un allevamento di struzzi. Strade in acciottolato, polvere rossa, caldo infernale. Scendo quando ormai l’autobus è vuoto. Sono su una strada larga, ferocemente assolata e completamente deserta.

La proprietaria del piccolo emporio, dove cerco momentaneo rifugio, mi guarda con aria di quasi rimprovero. Cosa ci sono venuto a fare fin lì? Mi spiega malvolentieri come tornare indietro: devo attraversare la strada e aspettare. Qualcosa passerà, forse, prima o poi, chissà...

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