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A cura di Franco Arato

 

La poetica della semplicità di Edoardo Firpo

di Franco Arato

 

Edoardo Firpo (Genova, 1889-1957), discendente da una famiglia di illustri musicisti (suo prozio era il violinista Camillo Sivori, allievo di Paganini), si guadagnò da vivere facendo il restauratore e l'accordatore di pianoforti; negli ultimi anni era diventato un po' duro d'orecchio e, a quanto pare, esercitava la professione con l'ausilio di un cornetto acustico. Ci vuole orecchio per riconoscere la nota giusta? Certamente; ma a volte, se il timpano non funziona come dovrebbe, chissà che non serva accordare lo strumento con l'aiuto dei battiti del cuore. Firpo, poeta, e poi anche accordatore di pianoforti, possedeva innato il senso del ritmo e della rima, per lui riconoscibile soprattutto nella musica della Natura. Se l'intendeva per esempio molto bene col martinpescatore, l'uccello rapace che vive in riva al mare, e che nei versi firpiani sembra entrare in contesa canora con un gallo insonne:

 

Ciammo [chiamo] o martinpescòu ch'o porte l'öa
de belle ægue nette
quande co becco affiòu pâ co fraccasse
un spegio [specchio] de cristallo,
ma o canto malinconico do gallo
in mezzo a-a nêutte o pâ
un crio ch'o se perde in mezo a-o mâ.

 

Se il poeta non sa riconoscere alla prima chi è l'uccello che canta, ha l'umiltà di chiedere ragguagli a un vecchio pastore di pecore (uno degli ultimi, si presume, tra quanti vivevano nelle colline subito sopra Genova):

 

Gh'ò domandòu a un vegettin de l'Antoa
Ch'o fava a guardia a-e pegoe:
-Comme o se ciamma quest'oxellin che canta?
- A l'è a laudrinn-a [allodola] a l'è,
a fà o seu nïo in tæra, a s'arsa e a canta.


Eugenio Montale, introducendo la seconda raccolta di Firpo, O fiore in to gotto, parlò di una poesia capace di far rivivere "quell'acre verdezza che credevamo solo possibile alla lira occitanica". Non c'è filiazione diretta, s'intende, coi lontani poeti provenzali che spesso sconfinarono tra Lerici e Turbìa (per citare la geografia dantesca); ma certo l'amore delle parole aspre, mescolate ai balbettii di stupore per la bellezza, è tipico dei versi di Firpo, poeta municipale sì, non campanilistico. Ecco allora il semplicissimo e sorprendente avvio de L'orto, che dichiara il bello addirittura eterno ("per sempre") nel particolare inavvertito, nel seducente gelo mattutino:

 

Bello pe sempre l'orto in ta mattin
serròu da træ muagette, in vista a-o mâ
e-o cipresso sotï lì da-a vixin,
quande tutta sprussâ de margaitin
a sùcca in sce-a muagetta [muretto] a pâ giassâ.

 

Un'epica affabilmente campagnola, quasi involontaria parodia del catalogo delle navi e dei guerrieri d'epica memoria, leggiamo in Ritorno a-o Romano (Romano è il nome di una trattoria alle pendici del già citato monte Antola), dove compaiono i nomi degli amici ritrovati dopo l'inverno (lungo e duro nell'Appennino ligure più di quanto si immagini):



o Giromin de Fascia,
a Relia, a Carmelinn-a,
o Gigio de Rondaninn-a,
o Momo de Cascinghen
con l'armonica in spalla;
e a Majolin de Propâ
ch'a ven pe' cancaxêu:
i fiori pe-o decotto
pe-o so foentin marotto.

 

Firpo amava anche disegnare e dipingere: era un buon dilettante, soprattutto nella tecnica del pastello, attento ai modelli del paesaggismo divisionista del ligure Rubaldo Merello, e poi anche alla maniera neoimpressionista di De Pisis e di Morandi. Il suo fiore nel bicchiere, O fiore in to gotto, oggetto di dolorose, se non patetiche, meditazioni esistenziali, sembra proprio uscito da una natura morta di De Pisis:

 

Son comme o fiore in to gotto
che mentre o meue [muore] cianin [piano piano]
pe ogni sô [sole] che ritorna
o se repiggia un pittin [un po'].

 

Un esplicito, non scolastico riferimento pittorico leggiamo in Saluto a-a primmaveja, dove il poeta, che dà il benvenuto alla bella stagione accanto a un albero di pesco, si paragona all'angelo di una tavola di Simone Martini:

 

me ghe pôso vixin
sensa falo tremmâ
comme quell'àngiou
de Scimon Martin,
e ghe diggo cianin,
implorando pietae :
- Parla ti che ti sæ [tu che sai].

 

In una pagina di diario del 1923 Firpo dichiarò la sua poetica con suggestiva semplicità: "Tutte le cose del mondo hanno la loro storia. Anche il più umile filo d'erba ha la sua storia da raccontare. Ascoltandolo si potrebbero sentire tutte le sue vicende. Il primo raggio di sole. Il brivido notturno. La rugiada. La canzone del grillo". Testardamente fedele a questo progetto, conoscitivo prima ancora che poetico, Firpo ha davvero cantato la canzone del grillo, e quella della cicala, e poi del vento, e del mare: e altre ancora. Sono delicati pastelli di parole, qualche volta naïfs: ma di un primitivismo che sa essere anche sofisticato. Edoardo Firpo (il cui nome è curiosamente assente nel grande Dizionario biografico degli italiani, ricco di migliaia di articoli) attende ancora di trovare il posto che merita nella storia della poesia del Novecento.

 

Poche parole per gli amici lusofoni, e non solo per loro, sul genovese e la sua pronuncia. Le parlate liguri appartengono, con le piemontesi e le lombarde, al gruppo dei dialetti 'gallo-italici'; in essi è caratteristico il cosiddetto sostrato 'celtico' (definizione etnolinguistica non da tutti accolta), che si manifesta nelle vocali turbate ö, ä, ü (trascritte anche oe, ae, ue; e cfr. la pronuncia dell'Umlaut tedesco); fenomeno morfologico rilevante il pronome personale soggetto in caso obliquo (io = mi, tu = ti). Tipico del genovese il trattamento velare della nasale n resa, nella nostra trascrizione, che non è scientifica, con nn-; altro passaggio fonetico importante: da l intervocalica a r palatale (nei nostri testi: alza > arsa). La x fricativo palatale (cancaxêu, vixin) va letta come la j francese (ricordo l'ironica osservazione di Dante, De vulgari eloquentia, I, XIII: "Se i genovesi per una dimenticanza perdessero la lettera z [così trascriveva la nostra x], dovrebbero ammutolire del tutto o cercarsi una nuova lingua"). Infine la o non accentata va generalmente pronunciata come la u italiana


BIBLIOGRAFIA

'O grillo cantadò, Genova, 1931
O fiore in to gotto. Prefazione di E. Montale, Genova, 1935
A vea scoverta de l'America, Genova, 1946
Ciammo o martinpescòu, Caltanisetta, 1955
'O grillo cantadò e altre poesie. Traduzioni di G. Sechi, Torino, 1960
Tutte le poesie, a cura di B. Cicchetti e E Imarisio, Genova, 1978
Ciammo o martinpescòu, a cura di F. De Nicola, Recco (Ge), 1997

-Una vasta panoramica sulla poesia in dialetto in F. Toso, Letteratura genovese e ligure: profilo storico e antologia, 6 voll., Genova, 1989-1991.

-Per l'attività figurativa: Edoardo Firpo. Pastelli e disegni. Catalogo della mostra (Accademia ligustica di belle arti, 18 maggio - 16 giugno 1974), a cura di G.F. Bruno, Genova, 1974.

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