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A cura di Franco Arato

 

Cantando sopra l'abisso

di Franco Arato

 

Cosa si fa col nome di una donna che si ama? Prima lo si pronuncia con ammirazione, poi familiarmente lo si deforma, con vezzeggiativi, diminutivi, accrescitivi. Cantilena, giaculatoria semiseria da bambini grandi. Se aprite la lunghissima Litania che Caproni ha dedicato a Genova, sua patria elettiva, e di cui il breve Stornello ("Mia Genova difesa e proprietaria, / ardesia mia. Arenaria") è un po' la cellula originaria, ci troverete proprio il costume dell'innamorato, troppo innamorato, che alla sua bella (in questo caso una città amante-madre) ha intonato una balbettante preghiera in rima.

Giorgio Caproni nacque a Livorno nel 1912, visse a lungo tra Genova e la Val Trebbia, prima di trasferirsi nel 1938 a Roma, dove fece per trentacinque anni il maestro elementare, alternando a questo mestiere appartato l'attività di pubblicista e di traduttore (particolarmente apprezzate le sue traduzioni da Baudelaire e da Celine); morì nel 1990. Tra i suoi meriti l'aver introdotto nella poesia italiana degli anni Trenta - la stagione austera dell'ermetismo - una vena di giocosa follia, come di chi canticchia a bella posta fuor di metro e fuor di regola. Gli ambienti evocati nelle sue prime raccolte (Come un'allegoria, 1936; Ballo a Fontanigorda, 1938; Finzioni, 1941) sono spiccatamente popolari, gli uomini e le donne vi appaiono immersi in riti quasi primordiali, innocenti. Non che Caproni già non usi con malizia la rima, dentro a una sintassi volutamente slabbrata: "Sono donne che sanno / così bene di mare / che all'arietta che fanno / a te accanto al passare / senti sulla tua pelle / fresco aprirsi di vele / e alle labbra d'arselle / deliziose querele" (Sono donne che sanno); in questi accostamenti metaforici vale forse l'esempio di un altro innamorato di Genova, il sempre presente Dino Campana.

C'è del metodo in quella melodia, come per esempio in Barbaglio: "Nel fresco fuoco vivo / di voci, a rime baciate, / suonano le risate / di tre ragazze, sbracciate". Nel Passaggio di Enea (1956) Caproni raccoglie vecchi e nuovi versi, dove la memoria proietta Genova ormai nelle contrade del mito: l'ascensore di Castelletto (elegante manufatto liberty, che conduce a una sorta di meraviglioso terrazzo, con vista dalla città vecchia al mare) è il mezzo di trasporto immaginato per un viaggio addirittura paradisiaco: "Quando mi sarò deciso / d'andarci, in paradiso / ci andrò con l'ascensore / di Castelletto, nelle ore / notturne, rubando un poco / di tempo al mio riposo" (L'ascensore). Ecco ancora (ne Il seme del piangere, 1959: il titolo è una significativa citazione dantesca, da Purgatorio, 31,46) la familiarità e la semplicità della parola-rima: "Per lei voglio rime chiare, / usuali, in -are. / Rime magari vietate, / ma aperte, ventilate" (Per lei).

Caproni si sarà magari ricordato di una dichiarazione di Umberto Saba: "Amai trite parole che non uno / osava. M'incantò la rima fiore / amore, / la più antica, difficile del mondo". Ma il seme del piangere non è naturalmente mai sterile (sunt lacrymae rerum dicevano i latini): ne Il muro della terra (1975) il vuoto campeggia sulla pagina, e la cantilena è stavolta thrénos, lamento funebre dove il senso, anche grammaticalmente, sfugge ("Vuoto delle parole / che scavano nel vuoto vuoti / monumenti di vuoto").

L'ultimo Caproni tende all'aria d'opera, un cantabile non però à la Metastasio, ma intonato romanticamente. Ne il Franco cacciatore (1982: con ovvio riferimento all'amatissimo Freischütz di Weber) la lotta dell'uomo coi fantasmi è una specie di gioco a nascondino con la morte: "Se non dovessi tornare, / sappiate che non sono mai / partito. / Il mio viaggiare / è stato tutto un restare / qua, dove non fui mai"; ancora, in un "allegretto" spiccatamente esistenziale: "La morte non mi avrà vivo, / diceva. E rideva, / lo scemo del paese,/ battendosi i pugni in viso". Lo sberleffo finale di uno strano Virgilio domestico è amaro, eppure felicemente consapevole: "Segua la guida, / punto per punto. / Quando avrà raggiunto / il luogo dov'è segnato / l'albergo (è il migliore / albergo esistente), / vedrà che assolutamente / lei non avrà trovato / - vada tranquillo - niente. / La guida non mente". Si può cantare, si deve cantare anche in vista dell'abisso.

 

Bibliografia:

L'edizione commentata (e solennemente stampata) di Tutta l'opera in versi di Giorgio Caproni, a cura di P.V. Mengaldo, è presso Mondadori, 1998 ("I meridiani"); in ed. economica Tutte le poesie si trovano, costantemente ristampate, da Garzanti, 1990 ("Gli elefanti poesia"). Della ormai ricca bibliografia critica si segnala: L. Surdich, Le idee e la poesia. Montale e Caproni, Genova, Il Melangolo, 1998.

Opere:

Come un'allegoria, 1936
Ballo a Fontanigorda, 1938
Finzioni, 1941
Cronistoria, 1943
Le stanze della funicolare (1952)
Il passaggio d'Enea, 1956
Il seme del piangere, 1959
Congedo del viaggiatore cerimonioso, 1965
Il muro della terra, 1975
Il franco cacciatore, 1982
Il Conte di Kevenhuller, 1986
Res Amissa, 1991
Tutte le Poesie (1932-1991), 1983.

Racconti:

Il Labirinto, 1984

 

Su O Ponto de Encontro:

Poesie scelte
Scheda biografica

 

Sul web:

http://www.ilportoritrovato.net/html/caproni1.html
http://www.club.it/autori/grandi/giorgio.caproni/indice-i.html
http://victorian.fortunecity.com/cloisters/488/Poeti/caproni1.htm
http://www.giuseppecirigliano.it/caproni.html

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